• Come funziona la tecnologia di Black Mirror: Bandersnatch

    Bandersnatch, il nuovo episodio della serie Black Mirror, ha diviso pubblico e critica. C’è chi lo trova rivoluzionario e coinvolgente, chi ci rivede meccaniche antiche e consunte specie per gli appassionati di videogame, che a percorsi e finali multipli sono abituati. Al di là della questione gusti e preferenze, questo episodio segna un passo importante verso un nuovo modo di intendere il contenuto televisivo. Di Bandersnatch, infatti, si può magari criticare la struttura a bivi non sempre ben progettata, ma è innegabile che la possibilità di effettuare scelte, e godersi un flusso audio-video senza tentennamenti, sia un meccanismo che funziona e destinato a diffondersi anche in altre serie e servizi di streaming. Con un po’ di calma, però, perché questo nuovo modo di intendere la serie tv implica delle soluzioni tecnologiche e produttive non proprio banali, per lo meno per il formato televisivo.

    Di base, la struttura di Bandersnatch è a bivi, quindi consiste in una serie di clip video che sono combinate in sequenza a seconda delle scelte dello spettatore.

    Vuoi che il protagonista scelga di mangiare a colazione una marca di cereali piuttosto che un’altra? Bene, fatta la selezione il software di Netflix rileva l’opzione e carica la clip corrispondente. Qui, se osservate bene, la tecnologia utilizza due espedienti. In questo genere di prodotti la vera sfida è garantire la continuità tra le clip, ma se si scegliesse la successiva, e questa venisse caricata in tempo reale, noteremmo sempre un piccolo stacco. Netflix risolve il problema con due trucchetti. Il primo è dare parecchi secondi per effettuare la scelta. Addirittura dieci. Prima l’utente fa la selezione, e più tempo ha il software per pre-caricare la clip successiva.

    Prova ne è il fatto che, una volta effettuata la selezione, non si ha più possibilità di cambiarla. Il software è furbo nell’approfittare della selezione, a questo punto, per caricare fin da subito i dati audio-video della prossima clip. E se la selezione viene fatta proprio all’ultimo istante? Proprio all’ultimo dei dieci secondi a disposizione? Qui entra in gioco un altro piccolo trucco, preso a prestito proprio dal mondo dei videogame: la clip corrente è progettata per durare un paio di secondi dopo la selezione da parte dell’utente (questi secondi sono quindi identici per entrambe le scelte). In questo modo, il software ha comunque il tempo di pre-caricare (il così detto buffering) i primi secondi della clip successiva. Questo è evidente specie nelle primissime scelte operabili in Bandersnatch.

    Questo per quanto concerne la tecnologia a più basso livello, ma c’è da considerare che Bandersnatch si avvale anche di una raffinata architettura a un livello superiore, vale a dire quello dell’organizzazione dei contenuti. La necessità di abbozzare la moltitudine di bivi presenti, e preventivare i vari percorsi a disposizione, ha portato i produttori dell’episodio, Charlie Brooker e Annabel Jones, a puntare su Twine, un software dedicato proprio alla progettazione di storie non lineari. Si tratta di un progetto open-source, disponibile per Windows, MacOs e Linux, che consente, in buona sostanza, di sviluppare racconti tramite diagrammi di flusso.

    Non è dedicato ai contenuti video, però, ed è per questo che Netflix ha dovuto creare anche uno strumento apposito, chiamato Branch Manager, che consente di gestire una sceneggiatura a bivi e condividerla coi piani alti di Netflix, per avere feedback immediato. Solo così è stato possibile gestire un totale di oltre 250 clip video, con la possibilità, addirittura, di nascondere nella trama dei gustosi Easter Egg, vale a dire contenuti raggiungibili a fatica. Vere e proprie sorprese da regalare agli spettatori più appassionati.

    A occhi smaliziati la tecnologia di Bandersnatch può sembrare in realtà molto semplice. Tecniche di buffering, utilizzo di diagrammi di flusso, e via dicendo, sono soluzioni già sfruttate in altri media (lo stesso YouTube propone sperimentazioni di questo tipo, anche se il flusso audio-video viene interrotto), ma è innegabile che l’episodio di Black Mirror rappresenti  un punto di svolta nel suo campo specifico. Viene da chiedersi, piuttosto, come tutto questo dispendio di risorse abbia comunque prestato il fianco ad alcune ingenuità. La prima è l’impossibilità di gestire il flusso temporale della tua storia.

    Di fatto, una volta che si passa alla clip successiva, si può tornare solo all’inizio di questa, non anche alle clip che la precedono. Il che porta a pensare che Bandersnatch tenga conto solo di scelte istantanee e non tracci, invece, il flusso narrativo di ogni spettatore (tanto che riavviando da zero l’episodio vengono cancellate tutte le scelte effettuate). Tutto sommato si trattava di gestire un piccolo file di testo che memorizzasse le selezioni ai vari bivi e la produzione ha rinunciato a quella che sarebbe stata una miniera d’oro di dati sulle preferenze degli spettatori, ma che magari ne avrebbe leso la privacy.

    La seconda, più grave, è proprio nella gestione dei bivi. La regola aurea, nei videogame di avventura più famosi (quelli da cui Bandersnatch trae chiara ispirazione), è che non esistono scelte sbagliate. In Bandersnatch, invece, esistono eccome. È frustrante, per esempio, vedere il protagonista che, messo di fronte alla scelta se lavorare in sede o a casa, scegliendo una delle due opzioni si sente sussurrare da Ritman “percorso sbagliato”. Per poi, di fatto, essere risbattuto di nuovo innanzi alla selezione. Qui il problema non è tecnico, ma proprio di scrittura. Probabilmente le due scelte di questo bivio presupponevano la produzione di troppe nuove clip, quindi si è trovato un escamotage per riproporre la selezione fino a quando lo spettatore sceglie quella voluta, ma capite bene che è un meccanismo davvero limitato. Di sicuro, Bandersnatch rappresenta un esordio, tra ombre e luci, che getta le basi per lo sviluppo di progetti più complessi. Va inteso, soprattutto, come il collaudo tecnologico di un nuovo modo di intendere un prodotto multimediale. E, in quest’ottica, è un collaudo riuscito.

     

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    Fonte: WIRED.it
 
 

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